psi. sviluppo atipico e psicopatologie dell'età evolutiva

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Durante lo sviluppo individuale si possono verificare alterazioni dovute ad anomalie o patologie di diverso tipo, determinate sia da fattori biologici sia da fattori psicologici e ambientali. Possono esserci deficit nello sviluppo percettivo e motorio, causati da lesioni cerebrali, danni nel sistema nervoso centrale o nell'apparato muscolo-scheletrico.

Si parla di ritardo mentale quando ci troviamo di fronte a deficit cognitivi che comportano uno sviluppo cognitivo atipico. I casi di ritardo mentale interessano circa il 3% della popolazione mondiale.
Un bambino lasciato crescere in un ambiente carente d'affetto, in un'atmosfera priva di stimoli o, al contrario, in cui un eccesso di stimoli indifferenziati non gli permette di prestare attenzione alle cose, potrà evidenziare uno sviluppo meno armonioso, fino a manifestare un ritardo mentale. Modificando le condizioni di vita di questi bambini si potrà riportare il loro quoziente intellettivo a livelli normali.In alcuni casi il ritardo mentale può derivare da entrambi questi fattori: gli effetti negativi di un danno organico possono essere peggiorati da un ambiente non adatto allo sviluppo armonico di un individuo.

Tra le principali cause fisiologiche che ne possono determinare la presenza si collocano le seguenti: 
ereditaria: alcune malattie metaboliche possono dare origine a danni cerebrali molto gravi;
alterazioni precoci dello sviluppo embrionale: possono essere dovute a mutazioni cromosomiche ( come nella sindrome di Down in cui vi è un cromosoma in più)
problemi durante la gravidanza o periodo prenatale: mal nutrizione del feto, prematurità, ipossia, infezioni virali;
condizioni mediche generali durante l'infanzia: traumi, infezioni, presenza di disturbi mentali gravi, come, l'autismo;

Un ruolo di grande rilievo è la prevenzione. Essa può essere effettuata attraverso controlli ostetrici o misure preventive più generali. Il ritardo mentale, in quanto espressione di un debole adattamento all'ambiente non è una condizione che permane necessariamente in vita.  

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Tra i disturbi diagnosticati con maggiore frequenza nell'infanzia ci sono i disturbi della comunicazione e dell'apprendimento
Generalmente, nello sviluppo dei bambini la funzione linguistica appare solo successivamente alla stabilizzazione di un sistema di comunicazione non verbale relativamente sofisticato. Il linguaggio rappresenta un perfezionamento di mezzi primitivi di comunicazione e appare dopo i 2 anni. Non tutti i bambini raggiungono questa tappa di sviluppo alla stessa età. Alcuni iniziano a parlare più tardi e col tempo recuperano il ritardo iniziale. Quando il disturbo del linguaggio può essere fatto risalire ad una lesione o a una malformazione del cervello, che può essere dovuta a danni vascolari, tumori, o infezioni, esso viene definito funzionale.

I disturbi del linguaggio possono essere distinti in:
Disturbi centrali, raggruppati sotto il titolo di afasia: tali disturbi manifestano sintomi differenti secondo l'area celebrale compromessa.
Disturbi di produzione o emissione: si tratta di patologie che si manifestano nella balbuzie. Il bambino che balbetta conosce il linguaggio, ma risulta bloccato nell'espressione di esso. Accanto la balbuzie bisogna ricordare l'aplologia, ovvero un'emissione dell'eloquio estremamente veloce con omissione di parole e inversione dell'ordine delle stesse. 
Disturbo della fonazione: è una incapacità di usare i suoni del linguaggio. In questi casi può essere presente un deficit sensoriale, oppure una forma di mutismo selettivo come risposta psicologica ad un trauma. In questi casi il bambino può rifiutarsi di parlare perché avverte l'ambiente che lo circonda come ostile. Il mutismo selettivo è una forma di disagio psicologico spesso associata a problemi familiari, relazionali o ansia. 

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Accanto ai disturbi della comunicazione abbiamo i Disturbi Specifici dell'Apprendimento (DSA), che comportano difficoltà nella lettura, nella scrittura e nel calcolo. Si possono raggruppare in patologie come la dislessia, disortografia, disgrafia, e discalculia.

Dislessia: si tratta di problemi legati alla capacità di lettura e a volte di scrittura, che si possono manifestare indipendentemente dal livello di istruzione e di età del bambino. Le manifestazioni più comuni di questi disturbi sono l'omissione, l'inversione e la sostituzione di lettere o sillabe ("la" invece che "al") e lo scambio di lettere simmetriche ("q" "p"). 

Discalculia: l'incapacità di fare calcoli, che produce sintomi analoghi alla dislessia.

Le parole agrafia e disgrafia indicano invece patologie relative alla scrittura.

Disgrafia: una difficoltà nell'apprendimento della scrittura. A differenza della dislessia i bambini manifestano dei problemi di adattamento emotivo, che però non hanno un'incidenza proporzionale sulla gravità del disturbo.

Le varie manifestazioni di agrafie sono state suddivise in due gruppi: agrafie centrali e periferiche.

Agrafie centrali:

- agrafia lessicale: il soggetto scrive le parole come le pronuncia, utilizzando solo la procedura fonetica. Questo disturbo si presenta maggiormente in lingue in cui non c'è corrispondenza tra fonema e grafema come per esempio la lingua inglese; un esempio è "moni" invece di "money".

- agrafia fonologica: il soggetto ha difficoltà a scrivere le "non parole", cioè parole senza senso.

- agrafia profonda: il soggetto scrive commettendo errori semantici; invece di "orologio" scrive "tempo". 

Agrafie periferiche:

-agrafia da neglet: si manifesta con errori come amputazione o sostituzione dell'inizio della parola; per esempio, scrivendo la lettera "n" viene amputata e viene scritto "v".

-agrafia aprassica: si tratta di un disordine gestuale causato da un disturbo del movimento volontario, per cui il soggetto è incapace di compiere gesti complessi. 

Esistono inoltre altri tipi di agrafia, che non si collegano nei due gruppi, come l'agrafia ideatoria e quella spaziale.

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I disturbi legati alla sfera dell'alimentazione sono associati all'interazione con la madre. Il lattante possiede un perfetto equipaggiamento neurofisiologico per la suzione, cioè per succhiare il latte dal seno materno. C'è chi mangia tanto, chi poco, chi velocemente e chi molto lentamente. La suzione però rappresenta un bisogno di se: i bambini che mangiano velocemente tendono a prolungare la suzione sostituendo il seno con le proprie dita. Infatti l'alimentazione di un bambino rappresenta il prototipo delle sue future capacità di interagire con il mondo esterno. Sin dalla prima infanzia si possono presentare sintomi di un disagio legato alla sfera alimentare. Le patologie più frequenti legate all'alimentazione sono l'anoressia e la bulimia.

Sul piano clinico l'obesità è eccesso di almeno il 20% di peso in rapporto alla statura e l'età. Nei paesi occidentali si calcola che questo disturbo riguardi dal 2 al 5% dei bambini. Le cause sono molteplici: fattori genetici, metabolici, endocrini, neurologici, psicologici. L'obesità nel bambino può essere sia di crisi bulimiche, sia di una iperfagia determinata dalle abitudini alimentari familiari e culturali. I bambini obesi vengono descritti come timidi e apatici, e questa passività intralcia spesso una buona riuscita nell'ambito scolastico. Di frequente nelle famiglie da cui provengono questi casi sono presenti realtà relazionali peculiari, in cui le madri sono nutrici ossessive che rispondono con il cibo a bisogno affettivo che non riescono a colmare in altro modo. I bambini imparano ad aggrappare l'ansia e il desiderio di affetto attraverso il cibo.

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La depressione è un'alterazione dell'umore verso forme di tristezza caratterizzate da un notevole abbassamento dell'autostima e una tendenza all'autopunizione. Alcuni aspetti di questa patologia la rendono più devastante proprio nei soggetti più giovani. Nell'adulto la depressione tende a colpire maggiormente le donne. Se l'adulto è in grado di riconoscere che la sua situazione non fa parte della normalità, ovvero che non è più se stesso, il bambino, al contrario, non ha i mezzi per fare queste valutazioni. Se le persone adulte tentano, tranne nei casi più gravi, a chiedere aiuto, i bambini non hanno le risorse interne per farlo.
Il danno più grande della depressione in giovane età è il fatto che essa provoca effetti negativi immediati in aree rilevanti della personalità del bambino, alterandone gravemente lo sviluppo. I bambini depressi non riescono a divertirsi, non giocano e non instaurano rapporti sani interpersonali, si sentono ipercritici e insicuri e tendono a essere pessimisti. La predisposizione alla depressione infantile è legata frequentemente a una situazione di distacco precoce dall'oggetto libidico, per esempio la perdita di uno o entrambi i genitori; il distacco fisico e/o affettivo dei o dai genitori; sensazione di non ricoprire un ruolo di importanza nel nucleo familiare; la mancanza di assistenza dei genitori durante le prime attività del bambino, che deve quindi imparare precocemente a cavarsela da solo. 

Per quanto riguarda i sintomi emotivi, nella depressione è prevalentemente l'umore disforico (tristezza). L'umore disforico può essere conseguenza di altri disagi psicologici ma a volte è possibile inserirlo a pieno titolo come sinonimo depressivo. La tristezza si accompagna a pianti non motivati da alcun evento preciso. Anche la mimica di un bambino o adolescente depresso rivela smarrimento e sconforto. Tra i sintomi troviamo anche la rabbia, la perdita della risposta di piacere e di allegria, il non sentirsi amati e l'autocommiserazione.
L'altra grande tipologia di sintomi sono i sintomi cognitivi, che riguardano le funzioni cognitive principali. Il bambino depresso tende a valutare negativamente le proprie prestazioni e capacità: l'autostima si abbassa, e con questo anche l'andamento scolastico. Tra i sintomi fisici e neurovegetativi si contano l'affaticamento, l'incapacità alla concentrazione, disturbi del sonno, il cambiamento dell'appetito e/o del peso, la comparsa di dolori vari (considerati sintomatici se non sono conseguenza di patologie preesistenti). Gli esiti delle forme depressive possono essere l'autolesionismo, patologie dell'alimentazione e tentativi di suicidio.

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Anche i bambini si trovano spesso a dover affrontare l’angoscia. L’ansia è da considerare come un’espressione di autopreoccupazione, caratterizzata da dubbi e svalutazioni. La scuola diventa per i bambini il luogo in cui matura l’ansia, che compromette l’apprendimento e la serenità delle relazioni. Il bambino manifesta il suo stato ansioso a volte con irritabilità, altre con un atteggiamento di apprensione, con sintomi somatici quali il vomito, diarrea, cefalea, Nei casi più gravi il bambino appare terrorizzato, distratto dai suoi pensieri, tanto da risultare poco disponibile al “ragionamento”.
I segnali che permettono di capire se un bambino vive il disagio scolastico derivate da uno stato d’ansia è la distrazione. Ciò che succede nella testa del bambino è un sovraffollamento di pensieri che non gli da la possibilità di concentrarsi su un argomento unico.
 
Gli interventi dell’insegnante, tesi a indirizzare il bambino a “concentrarsi su una cosa alla volta” non fanno che aumentare la confusione, agevolando il sedimentarsi di auto svalutazione: occorre cercare di capire cosa sta accadendo a monte, analizzando la situazione familiare. Nulla di ciò che si manifesta come disturbo emotivo di un bambino è riconducibile esclusivamente all’individuo (tranne patologie genetiche), ma esso è generalmente il prodotto dell’ambiente familiare in cui vive. Nel momento in cui hanno consapevolezza di essere valutati, i soggetti ansiosi hanno la tendenza a chiudersi, fenomeno che va sotto il nome di ansia anticipatoria: essi sono costantemente preoccupati, temono e vedono pericoli ovunque e manifestano la propria incapacità ad affrontare qualsiasi evento di vita. È importante capire la differenza tra normalità e patologia: quando queste manifestazioni si prolungano e diventano più intense, possono essere espressione di un importante disagio.

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Una delle psicosi in età evolutiva è l’autismo o meglio denominato “disturbi dello spettro autistico”. I dati epidemiologi segnalano un’incidenza di questa psicopatologia variabile tra i 5 e i 30 casi per ogni 10.000 nati. Il termine autismo fu coniato nel 1911 per descrivere individui assorbiti dalle proprie esperienze interiori con una perdita d’interesse per la realtà esterna. Nel 1943 venne formulata la prima definizione di sindrome autistica: una forma di psicosi piuttosto rara la cui sintomatologia è contrassegnata da profondo isolamento sociale, gravi insuccessi nello sviluppo del linguaggio, con preferenza per comportamenti rituali o compulsivi. Le ipotesi alle origini non sono concordanti. Ve ne sono alcune formulate negli ambiti della genetica, dell’immunologia, della biochimica e della neurologia, che indagano le possibili cause organiche riconducendole a eventuali anomalie in aree cerebrali.
Altri studiosi attribuiscono l’autismo a una incapacità biologica di provare attaccamenti emotivi che si manifesta prevalentemente nelle famiglie in cui i genitori sono emotivamente impassibili. Stando a questa teoria la causa dell’autismo è il distacco dei genitori

Fin dalla nascita è facile riscontrare nei bambini autistici comportamenti diversi. Principalmente mostrano una totale indifferenza verso il mondo esterno, non stabiliscono un rapporto con gli altri. Due atteggiamenti suggeriscono una precoce diagnosi di autismo: il bambino tende a incurvare la schiena per allontanarsi dalla persona che lo accudisce e rimane passivo, col corpo abbandonato, quando viene preso in braccio; a volte si assiste a un atteggiamento di ira al contatto fisico-affettivo. Durante i primi mesi di vita i bambini passano da stati di apatia ad altri di agitazione. La maggioranza di loro diventano anaffettivi. Successivamente può iniziare a manifestarsi un tipo di “ritualità”.
Nel corso dell’infanzia mostrano difficoltà nella comunicazione, nella socializzazione e nella percezione emotiva. In questo periodo iniziano a manifestarsi comportamenti disfunzionali, ripetitivi e autostimolatori. Spesso questi bambini manifestano problemi del sonno, dell’alimentazione e deficit dell’attenzione. L’esigenza di questi bambini è di mantenere il loro ambiente costante, mangiare e/o bere lo stesso cibo a ogni pasto, vestire gli stessi abiti, percorrere la stessa strada ecc.. I tentativi di far cambiare le loro abitudini possono scatenare reazioni d’ira violenta.

Con il passaggio alla pubertà, si possono manifestare nuovi disturbi: circa il 20% dei bambini autistici sperimenta per la prima volta le convulsioni dovute a variazioni ormonali. In questa fase i problemi comportamentali possono aggravarsi.

libri che parlano di autismo:





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